I segreti di Leonardo in una lapide della Banca di Romagna

Giovedì 27 gennaio 2011 by Mariano Tomatis

renneslechateau.it ringrazia "Audere" per aver condiviso con noi questo articolo di Francesco Donati, uscito sul Corriere di Romagna:

FAENZA. Passa anche da Faenza il percorso di inquietanti misteri che portano a Rennes-le-Chateau in Francia, dove un'antica e dibattuta storia, tra realtà, leggenda e fantasia, risalente alle origini del cristianesimo, colloca i sacri resti di Gesù.

Della vicenda si è occupata, in più puntate, la trasmissione televisiva Voyager, ma senza essere ancora a conoscenza dell'enigmatica "Lapide di Faenza" e del rebus contenuto nientemeno che nella Pala Bertoni. La chiave di lettura è un antico codice, lo stesso di cui si serviva Leonardo Da Vinci. E se si utilizza lo stesso metodo, qualcosa di "sconvolgente" emerge anche dalla decifrazione di uno scritto in un particolare del prezioso dipinto.

Dopo la scoperta di uno schizzo su un taccuino, che per alcuni ricercatori non è altro che il primo progetto della cattedrale eseguito dal geniale artista toscano, si aggiungono dunque altri tasselli ai misteri di Leonardo in Romagna.

Il codice Da Vinci

Fra gli enigmi dell'eclettico Leonardo quello che annovera sicuramente più osservatori è contenuto nelle misteriose lettere che compaiono nell'Ultima Cena. Ebbene: «Quelle incomprensibili sigle - afferma Schonwald - hanno un doppio intendimento: testimoniare l'appartenenza iniziatica dell'autore e tramandare la memoria di un controverso documento conosciuto solo da una stretta cerchia di persone prescelte, tra le quali fu anche Dante». Una sorta di organizzazione esoterica, insomma, che aveva il compito di trasmettere ai posteri nel tempo, il segreto di Rennes-le-Chateau, ovvero che "la bianca falesia ad arco sul monte Besu (oggi Bezu) costituirebbe la lapide sotto la quale si trovano le spoglie mortali di Gesù Cristo". L'applicazione del codice permette infatti una seconda lettura possibile in varie epigrafi, in raffigurazioni iconografiche, manoscritti dal II secolo fino ai giorni nostri. Una seconda lettura, come nel caso di quest'ultima scoperta, che rimanda sempre al paesino francese.

La lapide di Faenza

«Secondo il codice segnalato da Leonardo - sostiene il ricercatore - si tracciano delle linee rette a formare delle "M" o delle "W" rovesciate, in altri casi delle "X" o doppie "X" oppure delle "N", ma ciò che ne risulta è sempre sbalorditivo». Nell'epigrafe in questione, del 1600 - ma riferita alla fondazione della Banca nel 1491 - si delinea sull'algoritmo la frase: "Su Besuo Rennes Cis Cristi Celi Arco Ne Monti". Che starebbe per: "Sul monte Bezu a Rennes la chiesa di Cristo cela l'arco nei monti".


A far sì che l'attenzione fosse catturata "da chi doveva capire", e ad indicare la presenza di frasi nascoste compaiono "segnacoli" costituiti da evidenti anomalie testuali. Ma c'è di più: «Le parole trovate - spiega Schonwald - sono le medesime segnalate da Da Vinci, sempre le stesse esistenti sulla lapide del 1781 della Marchesa d'Hautpoul, nobildonna di Rennes, e simili a quelle rinvenute su una pietra tombale sotto l'altare della chiesa del paesino dall'Abate Sauniere sul finire dell'Ottocento». Nei casi presi in esame le parole più frequenti sono: "Besu, Rennes o Redae (antico nome), arco, urna, arco, Maddalena, Jesus, Iesis, Ossa".

La Pala Bertoni

Schonwald sta completando gli studi e la frase intera non la rivela ancora ma la parola "Besu" la si può individuare criptata nel termine "Verbum" che appare proprio sopra la penna utilizzata da San Giovanni intento a scrivere su un libro.


La pala Bertoni

Leggenda metropolitana o sconvolgente verità? Con le scoperte faentine sembrano diventare ancora più intriganti sia la presenza di Leonardo a Faenza sia il mistero di Rennes-la-Chateau. Perché un codice cifrato fu svelato soltanto a pochi adepti, ultimi custodi di un segreto da tramandare? Perché Leonardo, come altri personaggi famosi, si sono prestati dando il loro fattivo contributo a consegnare tali messaggi ai posteri? La risposta non c'è ancora.(1)

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(1) Francesco Donati, "I segreti di Leonardo in una lapide della Banca di Romagna", Corriere di Romagna, 27.01.2011, p.11.

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La scacchiera di Rennes-le-Château

Sabato 20 novembre 2010 by Lucia Zemiti

La scacchiera ed i suoi pezzi: Tour (Magdala), Reine (Blanche), Cheval (de Dieu), Roi (perdu) e Fou, l'alfiere (ma in inglese Bishop, "vescovo"… di sicuro Saunière non immaginava nemmeno lontanamente la caparbietà di questo pezzo nella sua personalissima partita che lo porterà alla fine ad arroccarsi nella sua Torre in una situazione di Stallo) giocano, nel mistero di Rennes-le-Château un'eterna partita tra sogno e realtà, ragione e follia, verità e menzogna. Simbolo dualistico per eccellenza dove opposti e contrari si alternano occupando il medesimo spazio, la scacchiera è un oggetto particolare.

La forma ed il colore hanno lo stesso potere ipnotico che infonde la spirale del gioco dell'Oca, e ricordano i diversi modi di affrontare la vita: affidandosi totalmente al caso e alla fortuna, lasciandosi trascinare dal percorso a senso unico nel gorgo del gioco dell'Oca, o decidendo ogni singola mossa nel tentativo di opporsi, modificare o perlomeno beffare l'improcrastinabile esito - come Antonius Block nel Settimo sigillo.


La scacchiera ha affascinato i più grandi scrittori, da Dante a Borges, da Poe a Zweig, ma la più intrigante è certamente quella di Lewis Carrol nel suo Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò.

Oltre ad accennare, sornione, alla complessità della teoria dell'antimateria nel mondo riflesso e speculare in cui proietta la piccola Alice (non era Signol ad invertire la sua N attraversando il meridiano di Saint Sulpice?) Carrol sfoggia un'incredibile padronanza del nonsense e dei giochi di parole cari anche ai cultori del libro di Henri Boudet.

"Le parole che io uso significano esattamente ciò che decido, né più né meno". E' Humpty Dumpty ad affermarlo in Alice nel Paese delle Meraviglie, manifestando tutta la potenza che un abile calembourista può celare nelle sue parole; mi piace accomunare Carrol e il suo bianconiglio al filone dei cultori dell'enigma di Rennes-le-Château, in compagnia di Verne e Leblanc.

L'edizione 1872 di Attraverso lo specchio, magistralmente illustrata da Sir John Tenniel, riporta in prefazione la figura della scacchiera su cui Alice dovrà cimentarsi. Qui, il re rosso (!) si trova in e4. A prestar fede ad Humpty Dumpty, ciò significa esattamente ciò che ha deciso Carrol. Né più, né meno.

Curioso. Anche Saunière sembra segnalare questa casella nella sua personalissima scacchiera. No, non quella ritagliata tra lo sguardo di Asmodeo e di Gesù nella penombra della chiesa di Santa Maddalena. Mi riferisco alla scacchiera racchiusa nel suo giardino, ben delimitata da due torri che si fronteggiano opposte e contrarie, dominando un orizzonte d'indicibile bellezza.


Il percorso semicircolare che collega le due torri copre tutta la prima colonna a sinistra e la prima riga in alto, definendo una seconda e più piccola scacchiera 7 x 7 che costituisce il giardino vero e proprio. Al centro dello stesso, è facile mettere in evidenza una casella. La stessa di Lewis Carroll. La casella e4.

Mi piace chiedermi… e se Saunière avesse davvero pensato a questa scacchiera? E se avesse voluto celare una precisa indicazione?

Narrano le antiche cronache degli scacchi che un tempo la torre era un Carro da guerra. Che ad affrontarsi su questo giardino-scacchiera siano in realtà i due carri (Rhedae) contrapposti?

E se per avvicinarci alla Soluzione dovessimo affidarci al passo irregolare dello Cheval de Dieu?

Un'ultima considerazione.

Shah mat, parola araba da cui deriverebbe la nostra Scacco matto, significa "Il Re è morto". Chi è il re morto? E soprattutto dov'è celata la casella e4?

E se si trattasse di...


Ma questa è un'altra Storia...

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I banchetti di villa Bethania

Lunedì 1 novembre 2010 by Sabina Marineo

Gérard de Sède lo descriveva così ne Le Tresor Maudit de Rennes-le-Château: "Le fotografie ci presentano un uomo di alta statura, atletico e di spalle larghe, come fosse sempre pronto all'attacco. I lineamenti plebei non sono privi di una certa grossolanità, accentuati dalla mascella carnosa; ma tutto ciò è compensato da una fronte alta e nobile incorniciata da folta capigliatura. Le sopracciglia sono spesse, gli occhi neri, belli e vivaci, lo sguardo penetrante, inquieto e inquietante. Il mento energico viene raddolcito da una fossetta che secondo la fantasia popolare è una caratteristica immancabile del seduttore. Per un uomo così Rennes-le-Château poteva essere solo una prigione".(1)

Questo il ritratto del parroco Bérenger Saunière. Leggendo il testo arguto di de Sède, si ha l'impressione che l'avvenente virilità del religioso avrebbe fatto impallidire qualsiasi stella cinematografica. In effetti non si può negare una certa corrispondenza tra l'aspetto del curato e le parole dell'autore francese e, tenendo conto dell'ideale maschile dell'epoca - siamo a cavallo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo - possiamo immaginare che Saunière abbia provocato l'ammirazione di molte donne del villaggio.

Ma il parroco non dormiva certo sugli allori. Secondo le testimonianze raccolte da autori diversi, era una persona dinamica che non disdegnava i lavori pesanti. Un amante della caccia, dell'aria aperta e del buon vino. Per meglio accattivarsi la stima dei paesani, Saunière non esitava a predicare in dialetto e, allorché avrà fatto fortuna, si dimostrerà generoso con lavoratori e amici. Queste qualità devono sicuramente aver prodotto un'impressione positiva anche sul pubblico maschile.

L'autore René Descadeillas osserva tuttavia stringato e tagliente: "L'uomo era grossolano, poco istruito - il dubbio gusto di cui dà prova nelle sue costruzioni e nei suoi restauri lo testimonia ampiamente - ma furbo e stranamente positivo".(2)

Jean Robin è ancor più drastico: "Seduttore ed ambizioso Saunière lo è stato. A suo tempo non hanno esitato a sfruttare le sue debolezze, i suoi appetiti, il suo desiderio di ascensione sociale. […] Dato che le pecche interiori del curato si manifestavano esteriormente nel modo più banale, più triviale: sin nelle case chiuse di Carcassonne".(3)

Come sempre la verità ha molte facce e ognuna di esse dipende dall'osservatore del momento.

Bérenger, uomo di campagna nato nel 1852 a Montazels - paese situato a pochi chilometri da Rennes-le-Château - era giunto trentatreenne sulla collina del suo destino, con pochi soldi in tasca. Dopo alcuni anni, per mezzo di un alacre traffico di messe e/o grazie alla scoperta di un tesoro - lasciamo la questione in sospeso - il parroco divenne un uomo ricco.

Non è possibile dire con certezza a quanto ammontasse il suo patrimonio; si è parlato di tre o quattro milioni di euro.(4) Una cifra non indifferente, che gli diede la possibilità non solo di restaurare la chiesa del paese, ma anche di cambiare faccia alla sommità della collina: Saunière vi fece costruire una villa stile Rinascimento, una torre neogotica con tanto di muro di cinta provvisto di cisterne, una serra, un orto e giardini.

Ai visitatori di oggi che, affascinati dal mito di Rennes-le-Château, si avventurano sul colle e percorrono le stanze di villa Bethania oppure indugiano pensosi sulla terrazza di torre Magdala dinanzi alla vista magnifica che si estende a perdita d'occhio, la tenuta di Saunière può sembrare modesta. Di primo acchito i viaggiatori possono rimanere delusi al cospetto degli edifici trascurati e dei giardini incolti, e chiedersi: "È tutto qui? Sarebbe stata questa la dimora del parroco nababbo?"

Ma non è giusto misurare il fasto paesano di allora con il nostro metro di cittadini del mondo, viziati dal benessere e dalle immagini opulente del grande schermo. Erano altri tempi.

Per avere un'idea dell'impressione che produceva la proprietà del parroco sui suoi contemporanei, vediamo invece questo articolo scritto dal signor Fagès, un membro della SESA - società di studi scientifici di Carcassonne - che nell'agosto 1909 fu accolto da Saunière al termine di un'escursione: "Veniamo accolti dal reverendo Saunière che è orgoglioso di mostrarci la sua bella residenza che, senza esagerare, sembra un'oasi in mezzo al deserto. Oasi può forse sembrare un termine esagerato, ma non dopo aver percorso alcuni chilometri attraversando terre aride e secche e, nella maggior parte dei casi, incolte. Una breve descrizione ci pare necessaria: il pianoro è occupato da un orto dove crescono verdure da far invidia ai nostri ortolani; poi troviamo un frutteto e un bel giardino ornamentale, il tutto riparato da una bella terrazza dalla quale si può ammirare un bel panorama. Una torre a sud sembra la guardiana di questo luogo incantevole. Lì abbiamo goduto di alcuni minuti di riposo ammirando la bella biblioteca in essa contenuta. Qui tutto è ben sfruttato, per esempio la parte inferiore dell'ampia terrazza serve da cisterna per le acque pluviali raccolte da numerose condotte. Il piano terra della biblioteca conserva una bella collezione di cartoline postali e di immagini di Rennes e dei suoi dintorni".(5)

E tuttavia l'entusiasmo di Fagès non era niente dinanzi all'orgoglio di Saunière, che si vedeva ormai quale vero castellano di Rennes, l'artefice del colle santo. Sulle cartoline postali da lui realizzate, accanto alle fotografie che riproducevano i nuovi edifici del paese, il curato aveva riportato(6) un suo commento personale (vedi box).

Ma che accadeva nelle stanze di villa Bethania e di torre Magdala durante gli anni di prosperità del parroco? Saunière continuava ad abitare nel presbiterio, insieme con la perpetua Marie Dénarnaud e la famiglia di lei. La torre Magdala fungeva da luogo di ritiro. Qui, indisturbato, circondato da una biblioteca costosa e dallo splendido panorama, Saunière trascorreva il suo tempo libero. Villa Bethania, invece, serviva da spazio di ricevimento per ospiti ragguardevoli.

Sarebbe logico pensare che tali invitati fossero stati quasi esclusivamente religiosi in visita al paese. Ma non era così. Si racconta che il curato celebrasse di sovente feste e banchetti cui erano presenti persone del bel mondo e durante i quali il buon vino e il rum della Martinica scorrevano a fiumi.

Non posso nascondere il fascino che esercita su di me la rievocazione immaginaria di villa Bethania in quei primi anni del XX secolo, magari avvolta dalle nebbie d'inverno, sul calare della sera: le luci delle finestre illuminate, un vocìo allegro e risate di persone in festa, il suono di un pianoforte (o forse di un harmonium), il canto magnifico e struggente di una soprano. Emma Calvé?

Ed eccoci al punto: l'identità degli ospiti misteriosi rimane tuttora nell'ombra. Gérard de Sède fece alcuni nomi: il religioso lazzarista padre Ferrafiat, il futuro deputato dell'Aude Etienne Dujardin Beaumetz, la cantante lirica Emma Calvé, la scrittrice Andrée Bruguière, la marchesa di Bozas e un ospite misterioso chiamato dai paesani "lo straniero" che doveva essere l'arciduca Johann Salvator di Asburgo in incognito.

L'autore Pierre Jarnac osserva: "Quelli che ricordano la personalità dei visitatori, hanno sempre riconosciuto a Saunière la mancanza di pregiudizi: villa Bethania accoglieva sia degli industriali e dei negozianti che uomini politici, come il futuro segretario di Stato alle Belle Arti Dujardin Beaumetz, allora consigliere a Limoux e deputato dell'Aude. Ma anche belle signore, come la scrittrice Andrée Bruguière e, probabilmente, la marchesa di Bourg de Bozas".(7)

René Descadeillas prese nota di alcune voci di paese che ricordavano la cantante lirica, Beaumetz ed "altre persone meno note, leaders locali o regionali del partito radicale socialista, già molto potente nell'Aude".(8)

Insomma, si sarebbe trattato di persone importanti, una delle quali era famosissima, la più grande diva del momento e figlia del Midi: Emma Calvé.

Nei documenti della corrispondenza di Saunière più noti al pubblico non emergono informazioni che avallino la presenza di tali nomi a villa Bethania. E tuttavia le liste di ordinazioni del parroco, tuttora esistenti, testimoniano di ricevimenti a carattere mondano, elencando centinaia di litri di alcolici. Ma se non possiamo dire con sicurezza chi erano gli invitati di Saunière, possiamo almeno esaminare le persone nominate da de Sède e Descadeillas e vedere se queste potrebbero avere veramente preso parte ai banchetti del curato. Andiamo per ordine.

Padre Ferrafiat era un lazzarista di Nôtre-Dame-de-Marceille, la basilica situata nei pressi di Limoux, meta di pellegrinaggi e luogo di custodia di una Madonna Nera. Il sacerdote presenziò la cerimonia della Prima Comunione di 24 bambini a Rennes-le-Château, avvenuta nel giugno 1891.


Al centro della fotografia, il padre lazzarista Ferrafiat ritratto il 21 giugno 1891.
A sinistra, dietro i bambini, un giovane Bérenger Saunière.

In questa occasione fu consacrata la statua della Madonna di Lourdes che Saunière espose nel giardinetto attiguo alla chiesa, sul pilastro carolingio dell'altare.

Una seconda visita di Ferrafiat a Rennes ebbe luogo nel 1897, allorché fu collocata una lapide sul calvario del giardinetto in memoria della visita episcopale di monsignor Billard, vescovo di Carcassonne.(9) Dunque Ferrafiat è di certo un possibile ospite di Saunière. I due religiosi si conoscevano e dovevano essere in buoni rapporti. Si può immaginare che padre Ferrafiat abbia cenato a villa Bethania.

Anche l'amicizia con il pittore Etienne Dujardin Beaumetz sembra possibile. L'artista, che finì per scegliere la carriera politica, era coetaneo del parroco. L'autore francese Jacques Rivière afferma che i due uomini si conobbero già nel periodo in cui Bérenger svolgeva l'incarico di vicario ad Alet-les-Bains, cioè tra il 1879 ed il 1882. Rivière scrive: "Durante le sue [di Saunière] passeggiate, incontra il pittore Henri Dujardin Beaumetz, della stessa età sua. Confrontano le loro idee politiche, l'artista dalle opinioni radicali e l'ecclesiastico dalle idee monarchiche".(10)

Infatti, se i due uomini potevano forse trovare punti d'accordo discutendo sul piano artistico o storico, le loro idee politiche si rivelavano diametralmente opposte: Beaumetz, progressista, s'era votato alla causa dei radicali di sinistra, mentre Saunière era un monarchico convinto. Ma la discrepanza di ideali politici non deve necessariamente compromettere

un'amicizia di lunga data. Ricordiamo che anche l'ingegnere Ernest Cros, il supposto scopritore della lastra di Coume Sourde, sembra essere stato amico di Saunière, nonostante Cros coltivasse idee politiche completamente differenti e di sinistra, nonostante fosse massone e si definisse pubblicamente "giovannita". L'autore Franck Marie, che indagò in loco all'inizio degli anni settanta cercando di cogliere le ultime voci di paese, considera l'amicizia tra l'ingegnere ed il parroco sicura ed avallata da

un'ampia corrispondenza tra i due uomini.(11)

Emma Calvé: l'invitata sicuramente più affascinante, dato che le fu attribuita addirittura una relazione amorosa con il curato. Finora però l'unico reperto rilevato fra gli effetti personali del parroco che fosse in qualche modo legato alla cantante lirica è la carta di una confezione di cioccolata con il ritratto della diva. Troppo poco per essere considerato una prova. Tanto più che Saunière sembra aver collezionato diverse cartine con i ritratti delle artiste dell'epoca.

Non mancano quei biografi della Calvé, come Jean Contrucci, che suggeriscono in tutta tranquillità l'esistenza della liaison.

Emma e Saunière si sarebbero incontrati più volte in occasione delle pause estive di Emma. La diva aveva infatti acquistato nel 1895 il castello di Cabrieres nell'Aveyron, situato a circa cento chilometri da Rennes-le-Château. Una distanza non troppo grande da superare, nemmeno in quegli anni. Nel castello la cantante amava trascorrere il periodo estivo di riposo, quando non era impegnata nelle tournées artistiche. Contrucci osserva: "La diva probabilmente ha risposto a degli inviti di Saunière in occasione del suo soggiorno nell'Aveyron".(12) E più avanti: "Non c'è verso di trovare la minima allusione a questa storia singolare (la relazione di Emma e Saunière) tra i ricordi della diva. La memoria di Emma ha cancellato anche il nome del prete maledetto.(…) È probabile che la relazione fosse più amichevole, più mondana che passionale. Durante gli anni in cui Saunière ammassava la sua favolosa fortuna, Emma si trovava per lo più fuori della Francia, occupata in tournées internazionali".

Contrucci scrive ancora: "Agosto e settembre 1897 sono dedicati al riposo, allo studio di "Saffo" ed ad una scappata a Rennes-le-Château".

D'altra parte però proprio subito dopo l'autore racconta che nel 1897 la "villa di Saunière" è terminata e che il parroco ha fatto erigere una torre biblioteca. Mentre in realtà all'epoca né la villa né la torre sono state ancora realizzate. Questo errore cronologico di Contrucci risveglia alcuni dubbi sull'affidabilità delle sue informazioni.

Nel libro vi è ancora un ultimo accenno a Saunière. Siamo nel 1917: "Rientrata in Francia a bordo del Rochambeau […] Emma, che si prepara ad una tournée di concerti patriottici per la Croce Rossa nel Midi della Francia, apprende dalla bocca di Leonie (la madre di Emma) […] la morte improvvisa di Bèrengere Saunière".

Fino a che punto le informazioni di Contrucci sono attendibili? Bisogna tener presente che un giornalista francese, Pierre Gombert, in un suo articolo per la Revue du Rouergue, descrivendo le connessioni della diva con gli occultisti parigini, afferma categorico: "Sembrerebbe che l'influenza del parroco Saunière e di Jules Bois con i quali ella [Emma] conobbe una grande intimità, sia stata determinante. Si sa che ella fu molto legata al parroco Bérenger Sauniére, quel curato equivoco (sic!) di Rennes-le-Château".(13)

E più avanti: "La liaison tra Saunière e la diva fu di assai breve durata, come tutte le sue relazioni [di Emma]. Nel 1917 tutto parrebbe essere finito e a lieto fine. Lui le donò un pilastro visigoto (sic!) della chiesa di Rennes".

Allora a questo punto c'è da chiedersi: chi copia pedissequamente da altri autori e chi invece è a conoscenza di elementi validi e che noi ignoriamo?

Riporto ancora una testimonianza, quella di Georges Girard. Le parole di questo ammiratore di Emma sono particolarmente importanti. Infatti Girard colleziona da molti anni gli oggetti personali e la corrispondenza della diva. La vide per la prima volta quand'era appena un ragazzino dodicenne nella sua città natale, Millau. A quell'epoca la cantante, ormai ottuagenaria, aveva venduto il suo castello di favola e conduceva una vita relativamente modesta, dando lezioni di canto alle ragazze di buona famiglia. Georges sentì la voce eccezionale della soprano e ne rimase perdutamente affascinato.

Girard, che conserva ogni cosa di Emma come una reliquia nella speranza di poter aprire un giorno un museo della diva nel castello di Cabrieres, potrebbe avere la prova che a noi manca. In una rivista francese dell'anno 1971 apparve una breve biografia di Emma scritta da Girard. Vi leggo: "Si è dunque parlato di un lungo ed intimo rapporto tra il curato Bérenger Saunière e la cantante. Certo, esso è esistito. Quando e come si conobbero? Fu a Parigi, nel 1893, probabilmente per mezzo dell'Abbé Biel, direttore di Saint-Sulpice".(14)

Che dobbiamo pensare della sicurezza con cui Girard presenta quest'affermazione? Ha trovato indizi - nella corrispondenza della Calvé in suo possesso - che provano la relazione amorosa tra il parroco e la cantante? In ogni caso Girard è troppo discreto e troppo rispettoso verso la vita privata di Emma per rivelare di più.

E veniamo alle altre due signore. La marchesa du Bourg de Bozas, di casata antica e molto facoltosa, era in amicizia con il fratello del curato, il padre gesuita Alfred Saunière. Alcuni autori sostengono che ne fosse l'amante. Nella documentazione di Bérenger oggi in nostro possesso sembra non esservi traccia della nobile.

E tuttavia non è da escludersi che la marchesa abbia occasionalmente preso posto alla mensa imbandita del curato. Tanto più che ella frequentava il milieu occulto-massonico dell'epoca. E rapporti di tale fatta coltivava anche il fratello di Bérenger. Sappiamo che Alfred fu l'istitutore della famiglia Chefdebien, a Narbonne. Questi nobili erano ben noti nell'ambiente massonico. Francois de Chefdebien, un esponente di tale famiglia morto nel 1814, veniva riportato nelle liste di loggia come "Franciscus, eques a capite galeato" e rivestiva un ruolo molto importante nella massoneria, nonostante il suo nome sia storicamente quasi sconosciuto.(15)

Non è quindi da escludersi che anche la marchesa abbia gustato la cucina di Marie Dénarnaud durante le feste di villa Bethania.

La terza donna nominata da de Sède, Andrée Bruguière - che si faceva chiamare anche "marchesa d'Artois" - era una scrittrice alla moda. Poco o niente sappiamo di lei e del suo entourage. La personalità della Bruguière non sembra aver lasciato tracce di rilievo nemmeno nel mondo letterario in cui era di casa. Di conseguenza non è possibile azzardare supposizioni.

L'ultimo ospite, "lo straniero" di cui parla de Sède, rimane nell'ombra e non sappiamo neanche se mai fu esistito. Il giornalista ce lo presenta come un Asburgo, anzi suggerisce che si trattasse di Johann Salvator. È credibile?

Riesaminando la vicenda di Rennes-le-Château c'imbattiamo nella contessa di Chambord. Questa nobile, imparentata con gli Asburgo e vedova del legittimo pretendente al trono di Francia, ha sicuramente donato una somma cospicua a Saunière nel 1886. A quell'epoca il curato, da poco giunto a Rennes, voleva intraprendere i restauri della chiesa di Santa Maria Maddalena.

Alcuni anni dopo, nel 1889, viene segnalata a Rennes la presenza di un Asburgo. Si tratterebbe proprio di Johann Salvator. Questo rampollo di casa più che illustre, in seguito al suicidio del cugino Rodolfo - in seguito al famoso affare di Mayerling - cui era molto legato, decise di rompere i contatti con la famiglia imperiale rinunciando così ad appannaggi e privilegi nobiliari. Assunse quindi il nome borghese di Jean Orth, perse il diritto di cittadinanza austriaca e dall'ottobre 1889 abbandonò per sempre la terra natìa e iniziò i suoi viaggi per l'Europa.

Dunque la presenza del nobile a Rennes tra il novembre 1889 ed il febbraio 1890 sarebbe teoricamente possibile. L'autore Pierre Jarnac afferma che Jean Orth si recò a Rennes proprio in quel periodo e scrive dell'esistenza di "rapporti della gendarmeria di Couiza" che lo proverebbero tuttoggi. Jarnac racconta: "I gendarmi di Couiza gli domandarono i motivi del suo soggiorno. Lui [Johann Salvator] pretese che, giungendo dall'Italia e dalla Spagna, il destino l'aveva condotto a Couiza ed avendo sbagliato strada era capitato casualmente a Rennes. Lì era stato condotto alla presenza di Bérenger Saunière".(16)

Ma c'è di più. Sempre da Jarnac ci giunge l'informazione di un conto bancario di Perpignan aperto a nome di Bérenger Sauniére. Qui Johann Salvator avrebbe versato alcune somme di denaro. Jarnac scrive: "È in questa città che [Saunière] aveva aperto un conto, alla banca Veuve Auriol et ses fils. […] Il direttore, M. Cazes, era un uomo troppo serio e diligente per non porre delle domande sul motivo del versamento regolare operato da un giovane principe austriaco, l'arciduca Johann Salvator d'Asburgo detto Jean Orth a beneficio di un altro conto aperto lo stesso giorno a nome di Bérenger Saunière".(17)

Bérenger Saunière si sarebbe recato spesso a Perpignan e avrebbe alloggiato al Grand Hotel, a pochi passi dalla banca. Nel 1979 Pierre Jarnac ricevette conferma di tali soggiorni dalla nipote del signor Eugene Castel, direttore dell'albergo di lusso ai tempi di Saunière.

Che dobbiamo pensare di tutto ciò? Quali affari intercorrevano tra l'Asburgo che aveva appena voltato le spalle alla famiglia imperiale ed il curato votato alla causa monarchica? Jarnac pensa che Jean Orth abbia acquistato dal parroco oggetti di valore.

Ma l'ex-principe austriaco, che in quel periodo non provava il minimo interesse per la politica, aveva tutt'altri pensieri. Progettava di salpare con una nave propria alla scoperta di nuovi continenti e investì tutti i suoi beni nel-

l'organizzazione di quest'impresa non indifferente. Perché avrebbe dovuto spendere per comprare antichità o documenti di famiglia? Quest'ipotesi mi sembra poco credibile.

E anche ammesso che la presenza di Orth a Rennes nel 1889/1890 risponda al vero(18), è impossibile che Johann Salvator abbia partecipato ai banchetti di villa Bethania perché questi ebbero luogo a partire dal 1905 e a quell'epoca il nobile austriaco era già scomparso da un pezzo. Jean Orth s'imbarcò sulla sua nave Santa Margherita il 26 marzo 1890 con l'intento di esplorare la Terra del Fuoco. L'ultimo suo segno di vita fu una lettera del luglio 1890, dopodiché sparì per sempre dalla scena europea senza lasciare traccia. Che ci piaccia o no, dobbiamo cancellarlo dalla lista dei convitati misteriosi.

Facciamo il punto: chi sedeva alla tavola del curato e gustava la squisita cucina di Marinette annaffiata da vini e liquori di tutto rispetto? Forse il radicale Dujardin Beaumetz, la ricca Marchesa de Bozas, il lazzarista Ferrafiat e magari anche la scrittrice in voga Andrée Bruguière. Mentre accanto alla fatale Emma aleggia ancora un grosso un punto di domanda. La sua presenza rimane un segreto, come la storia del curato Saunière.

Del resto l'alone di mistero che circondava il parroco già quand'era in vita, non doveva poi dispiacergli, ma piuttosto divertirlo. Allorché un giorno il prete Antoine Beaux, suo conoscente, osservò malizioso: "Caro collega, la vostra vita nel lusso potrebbe far credere a qualcuno che abbiate scoperto un tesoro", Saunière gli rispose sornione: "Me l'hanno donato, l'ho preso, l'ho messo a punto e me lo tengo stretto".

E noi oggi, cent'anni dopo, ci pensiamo su.

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(1) Gérard de Sède, Le trésor maudit, Paris: Julliard, 1967, p.13.

(2) René Descadeillas, Notice sur Rennes-le-Château et l'abbé Saunière, Carcassonne, 1962, ora in Indagini su Rennes-le-Château 14 (2007) pp.663-672.

(3) Jean Robin, Le royaume du Graal, Paris 1992, p.26.

(4) Laurent Buchholtzer Octonovo, "Nouveles lumières sur la comptabilité de l'abbé Saunière" in Actes du colloques d'études et de Recherche sur Rennes-le-Château 2005, Editions Oeil du Sphinx, Le Serpent Rouge vol.6, p.73. I libri contabili del parroco Saunière sono disponibili solo dal 1895 in avanti.

(5) Antoine Fagès, "De Campagne-les-Bains à Rennes-le-Château", Bulletin de la Société d'Etudes Scientifique de l'Aude, Vol.20 (1909), ora in Indagini su Rennes-le-Château 14 (2007) pp.704-706.

(6) Jacques Rivière, Le fabuleux tresor de Rennes-le-Château , Cazilhac 1995, p.15.

(7) Pierre Jarnac, Histoire du tresor de Rennes-le-Château, Cazilhac 1998, pp.185-186.

(8) René Descadeillas, op.cit.

(9) Patrick Mensior, Parle-moi de Rennes-le-Château, Montigny: 2004, p.77.

(10) Jacques Rivière, op.cit., p.28.

(11) Franck Marie, Rennes-le-Château etude critique, Bagneux: 1978.

(12) Jean Contrucci, Emma Calvé la diva du Siècle, Paris 1989, pp.156-.232.346

(13) Pierre Gombert, "Una diva chez les occultistes" in Revue du Rouergue 107, Toulouse (1973), p.261.

(14) Georges Girard, "Emma Calvé, étoile dans tous les cieux, cigale sous tous les ciels" in Les cahiers rouergats 5, Rodez (1971), pp.33-34.

(15) Serge Hutin, Gouvernants invisibles et sociétés secrètes, Paris 1972, p.60.

(16) Pierre Jarnac, op.cit., p.355.

(17) Pierre Jarnac, op.cit., p.192.

(18) Finora nessun ricercatore sembra essere riuscito a pervenire ai verbali della gendarmeria di Couiza.

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Sale, Saunage e Saunière

Venerdì 29 ottobre 2010 by Lucia Zemiti

Il sale ha avuto una grande importanza sul territorio che attraversa le due Rennes fin dall'antichità. Un'importanza dettata dalla presenza di un corso d'acqua salato, la Sals, da cui si poteva estrarre una buona quantità di questo preziosissimo elemento.

La Sals ha la sua sorgente nei boschi a pochi chilometri da Sougraigne e secondo gli studi di Dominique Jay ingegnere del CRPF (Centro Regionale Proprietà Forestale) contiene 33 grammi di sale per litro d'acqua, una quantità spropositata per un semplice ruscello. Questo fa pensare che la sorgente attraversi un enorme giacimento di salgemma custodito tra gli strati impermeabili d'argilla del sottosuolo; la regione a est dei Pirenei, del resto, ingloba importanti giacimenti proprio di questo tipo.


“I funzionari della gabella”, tratto dal Code des privilèges (XV sec.), presso la Biblioteca Queriniana di Brescia

Utilizzato per insaporire gli alimenti, ma soprattutto per la loro conservazione e quindi considerato derrata vitale, è sempre stato oggetto di enormi traffici, spesso condotti nella piena illegalità quando il suo consumo venne gravato dalle imposte. I Celti furono probabilmente i primi a conservare i cibi attraverso la salatura e a diffonderne l'uso (prima si usava l'affumicatura); possiamo ipotizzare, quindi, che la vicinanza di un ruscello naturalmente salato in grado di approvvigionare le tribù di questa sostanza preziosa (chiamata Hal dai Celti) abbia reso particolarmente interessanti ai loro occhi le rive della Sals. Rive che attirarono anche i Romani negli anni successivi, poiché sapevano che la presenza di sale e di sorgenti termali erano un chiaro segnale indicativo della presenza sul territorio di filoni auriferi.

Le antiche miniere, che perforano i dintorni di Rennes-les-Bains, dimostrano che avevano ragione: qui si trovava in abbondanza oro giallo e oro bianco.


Dichiarazione di ricossione di un Minot di sale da parte dell’’Hotel-Dieu a Beaufort nell’Anjou e specifica delle sanzioni cui si andava incontro in caso d’inosservanza della legge.

Poiché è in grado di contrastare l'evoluzione batterica dei cibi, è considerato purificatore ed associato spesso a riti sacri e comunitari presso gran parte dei popoli del bacino mediterraneo, dai Greci ai musulmani, dagli Ebrei ai Cristiani, senza dimenticare che ancora oggi è ampiamente utilizzato nei riti scaramantici; perfino nel lontano Giappone sulla pedana degli incontri di Sumo si usa lanciare sale propiziatorio. "Salve" e "salute" sono l'esempio di due parole bene auguranti che derivano dalla stessa radice. Il sale era talmente prezioso che il compenso per gli operai che lo estraevano veniva conteggiato in toto o in parte con questo prodotto e tale quota era chiamata Salarium, termine che designa ancora oggi la nostra retribuzione.

Era una merce ritenuta preziosa come l'oro e il suo traffico rimpinguava molto bene le casse di chiunque si dedicasse al suo commercio, in qualsiasi parte del mondo.

In Francia, nel 1343, Filippo VI decise di consentire la vendita del sale ai soli magazzini reali - i Grenier a sel - e gravò ulteriormente questa merce con una gabella. Mentre quasi dovunque la parola "gabella" significa tassa indipendentemente dal bene su cui è imposta, in Francia la stessa parola dal XIII secolo è riferita esclusivamente al sale: l'infâme gabelle, come venne soprannominata dal Terzo Stato. La sua impopolarità, dovuta alla diversa tassazione sul territorio, fu la causa di moltissime rivolte. In alcune regioni vi erano piccole gabelle o l'esenzione dalla tassa, in altre vigeva la Grande gabella ed era addirittura obbligatorio per ogni famiglia acquistare una certa quantità di sale annua chiamata sel du devoir destinata esclusivamente all'uso domestico, che diventava così una vera e propria gravosa imposta diretta. La differenza era tale che se un minot(1) di sale in una provincia valeva quanto una grossa pagnotta di pane, in quella vicina la somma corrispondeva al prezzo di un cavallo.(2)


Una mappa delle gabelle francesi: a nord si parlava di Grande Gabella, a sud di Piccola Gabella.

Tutto ciò produsse una gran quantità di faux sauniers, "falsi salinatori"(3), visto l'enorme guadagno che si poteva trarre contrabbandandolo dalle regioni a bassa tassazione verso quelle più tartassate - o addirittura esportandolo oltre i confini. Questi contrabbandieri del sale, di cui facevano parte anche donne e bambini, andavano incontro a pene severissime che contemplavano, in aggiunta a pesanti ammende: la condanna ai lavori forzati nelle colonie, nelle miniere di sale e sulle Galere(4) per gli uomini, la frusta, il bando e la marchiatura a fuoco sulla spalla di una G (come "Gabella") per le donne.

Era prevista perfino la pena di morte se si veniva trovati in possesso di armi durante il contrabbando o se a commettere tale crimine erano soldati, ufficiali o giudici incaricati della sorveglianza di questo reato.

Con Luigi XIV il sale divenne Monopolio di Stato: vennero esentati dalle imposte, tra le crescenti proteste popolari, il clero, la nobiltà, i professori universitari e gli ufficiali del Re. Solo con la Rivoluzione Francese, nel 1790, la gabella fu soppressa dall'Assemblea Costituente per riapparire - calmierata ed unificata - poco tempo dopo, fino ad essere definitivamente abolita solo nel 1946.

Languedoc e Roussillon godevano di regimi di tassazione leggera, e ciò ne faceva il luogo ideale da cui prelevare il sale per il contrabbando, anche se la ferocia nella caccia, nella repressione e nelle condanne era identica su tutto il territorio. Fino alla fine del XVIII secolo i gabellieri controllavano anche la zona della Sals per contrastare il traffico illecito di questa sostanza. Nei pressi di Sougraigne a est di Rennes-les-Bains, nel luogo chiamato Fontaine Salée, si possono ancora vedere i ruderi del Podere (Demain de la Sals) e della caserma dove stazionavano i Gabellieri; il podere era stato edificato nel 1752 da François Montesquieu(5) barone di Coustaussa, di Roquefort e di Bugarach.

Nell'editto facente parte delle ordinanze dettate da Colbert del 17 febbraio 1685 (articolo 19) specificamente rivolto alla Linguadoca, si legge che gli acquirenti del sale di contrabbando devono essere responsabili delle pene pecuniarie inflitte ai faux sauniers, condannati ad assistere alla loro esecuzione in caso di condanna capitale e costretti alle Galere per tre anni.

Ma niente e nessuno riuscirà a fermare questo traffico nonostante le severissime pene; la miseria spingeva al contrabbando migliaia di persone disperate. Ancora nel 1781 Jacques Necker, ministro delle finanze di Luigi XVI, nel suo Rapporto al Re dichiarava che ogni anno vi erano gli arresti di duemilatrecento uomini, milleottocento donne, seimilaseicento bambini, la confisca di millecento cavalli e cinquanta vetture, e trecento condanne ai lavori forzati, definendo il caro prezzo del sale un vero flagello. L'Ancien Régime e le sue pesanti vessazioni vivevano gli ultimi istanti: il 14 luglio 1789 era ormai alle porte.

Se dopo questo breve excursus nella storia del sale converrete che questa sostanza è stata considerata per molto tempo sinonimo di "merce preziosa", "tesoro", allora sarete sorpresi come me nello scoprire che Saunière in francese arcaico è il "contenitore per il sale", una sorta di scrigno pieno di preziosissimo sale in cui si custodivano gelosamente i cibi deperibili. Una cassaforte che - come una matrioska - conteneva un tesoro che ne conservava un altro. Con una piccola licenza interpretativa, il nostro amato curato diventa così (nomen omen) il "custode di un tesoro".

E mai nome fu tanto azzeccato: anche perché il tesoro di Saunière, forse, non è tanto l'oggetto gelosamente custodito, quanto l'essenza che ne permette la sua conservazione.

Il sale.

_________________

(1) Il “minot” serve per misurare il sale, le granaglie e i legumi secchi. Come tutte le misure utilizzate prima dell’avvento del metro, era variabile secondo le province e anche ora vi sono delle discrepanze piuttosto rilevanti sulla sua esatta equivalenza: si va infatti dai 12 litri ai 72! E’ celebre l’adagio francese: “Pour se dire ami il faut avoir mangé ensemble un minot de sel”.

(2) André Poussin, La contrebande du sel ... qui mène aux galères, Cancale: Editions du Phare, 2000.

(3) Il termine designava i contrabbandieri del sale; si usavano anche le espressioni faux saunage (commercio illegale) e faux sel (sale di contrabbando).

(4) Le Galere (o Galee) erano navi con scafi lunghi e sottili spinte dalla forza degli uomini legati ai suoi remi, schiavi o condannati. Da qui i due termini Galeotto e Galera, intesa come prigione.

(5) Marie, la sorella di François, erediterà tutte le proprietà della famiglia e sposerà Pierre d’Hautpoul, signore di Serres. Si tratta dello stesso che nel 1780, chiedendo al notaio di Esperaza Jean Baptiste Siau che si dichiarava in possesso del testamento di François Pierre d’Hautpoul (documento di cui si erano perse le tracce da circa 130 anni) di visionare il detto testamento in qualità di erede della famiglia, si sentì rispondere: “Non sarebbe prudente da parte mia privarmi di un testamento di tali conseguenze”. Il testamento non venne mai alla luce.

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Gli scacchi nella mitologia di Rennes-le-Château

Giovedì 28 ottobre 2010 by Mariano Tomatis

A differenza di altri nobili giochi da tavolo come il backgammon, il bridge e la roulette, gli scacchi non ammettono la casualità tra gli elementi che ne costituiscono la struttura; non ci sono dadi da tirare, carte da mescolare o ruote da far girare, né c'è alcunché da nascondere: la situazione è palese per entrambi i giocatori, che hanno a disposizione, per prevalere sull'avversario, solo ed esclusivamente la propria mente e la propria abilità di analisi.

Nonostante, per queste ragioni, gli scacchi siano in apparenza il gioco che maggiormente incarna gli ideali della razionalità pura, nel corso della loro Storia hanno più volte evocato scenari irrazionali quando non del tutto mistificatori. Il primo "macchinario" in grado di giocare a scacchi e sconfiggere addirittura l'imperatore Napoleone III, l'automa del barone Von Kempelen (1734-1804), era in realtà un elaborato ed ingegnoso gioco di prestigio che celava al suo interno un giocatore umano di minute dimensioni, che dall'interno muoveva una serie di braccia meccaniche per dare l'illusione di essere un robot semovente; l'inganno era stato perfetto, e soltanto Edgar Allan Poe (1809-1849), durante il tour americano dell'automa, aveva svelato pubblicamente il trucco che rendeva possibile quel miracolo.(1)

L'intrinseca ambiguità del simbolismo di ognuno dei pezzi che compongono la scacchiera (a partire dalla dicotomia bianco/nero evidenziata sia dal piano di gioco, sia dai colori dei pezzi in campo) ha fatto sì che gli scacchi comparissero in opere visionarie e ricche di suggestioni letterarie come i racconti di Borges e i romanzi di Umberto Eco; ne Il nome della rosa, ad esempio, si cita ironicamente lo pseudobiblium di Milo Temesvar "Sull'uso degli specchi nel gioco degli scacchi": Temesvar, nome di un autore fittizio creato dallo stesso Borges, ritornerà più di recente in un articolo-parodia di Eco su un'interpretazione in chiave omosessuale dell'Ultima Cena leonardesca.

Il "mito agglutinante" di Rennes-le-Château non poteva essere immune dalla contaminazione culturale degli scacchi, e Pierre Plantard - tra i più geniali e prolifici "plasmatori" della mitologia oggi più nota - vi introdurrà effettivamente diversi elementi "scacchistici".

Saunière e gli scacchi

Non si ha notizia di un interesse specifico, da parte di Bérenger Saunière, per il gioco degli scacchi; sono piuttosto alcune opere architettoniche a mostrare i legami tra il sacerdote e la scacchiera, a cominciare dal pavimento della chiesa di Santa Maddalena, fatto installare nel 1887 durante i primissimi lavori di restauro.


Pianta della chiesa di Santa Maddalena con il pavimento a scacchi in evidenza.

Quella che è una decorazione molto comune in molte chiese cattoliche - ma non solo: si ritrova anche in moltissime abitazioni private dell'epoca - è stata ritenuta la prova di un'affilazione, da parte di Saunière, a qualche loggia massonica, dal momento che i templi della Massoneria hanno il pavimento a scacchiera. Questo farebbe della chiesa di Rennes-le-Château, secondo alcuni autori, un tempio massonico.(2)

Sono noti i legami tra la Maison Giscard, incaricata dell'installazione del complesso statuario nella chiesa di Santa Maddalena, e la Massoneria, ma il coinvolgimento della casa di Tolosa risale al 1891 con l'installazione del pulpito, mentre i lavori di restauro del pavimento risalgono a quattro anni prima. L'ipotesi che Saunière intendesse celare nelle decorazioni della sua parrocchia i simboli di un tempio massonico non tiene conto di una linea politica dimostrata in maniera esplicita durante tutta la sua attività sacerdotale: reazionario convinto, egli si schierò sempre contro il laicismo e le forze repubblicane, cui la Massoneria era molto legata, e per queste posizioni - espresse con veemenza dal pulpito della sua chiesa - fu addirittura sospeso dal suo incarico per alcuni mesi dopo le elezioni del 1885, vinte dai repubblicani.

Viene da pensare ad una scacchiera se si osserva, dall'alto, la pavimentazione della Tour Magdala.


Il pavimento della Tour Magdala.

Le 256 piastrelle decorate sono disposte a formare un casellario di otto riquadri per lato su cui si potrebbe facilmente giocare a scacchi - con l'unico limite dell'assenza di colori alternati bianco e nero. Lo stesso pavimento mostra una singolare bizzarria: la casella angolare, situata in corrispondenza dell'ingresso della scala a chiocciola che conduce al piano superiore della Tour e costituita - come tutte le altre - da quattro piastrelle, mostra una piastrella "anomala"; il suo angolo è, a differenza di tutte le altre 255, di colore rosso.


In alto a sinistra: la mattonella anomala.

Esiste una curiosa relazione tra la posizione della torretta circolare che sovrasta la Tour Magdala e la casella corrispondente sul pavimento: la torretta si trova, infatti, in corrispondenza della casella angolare, e nel gioco degli scacchi le caselle angolari sono proprio quelle su cui vengono disposte le torri all'inizio della partita. Forse anche la serra che si trova all'altro estremo del camminamento semicircolare mostrava, all'epoca, una pavimentazione identica a quella della Tour Magdala: purtroppo le piastrelle che lo costituivano sono gravemente danneggiate, e non ne rimane che qualche frammento.

Cambiando scala, c'è chi ritiene che l'intero giardino delimitato dal camminamento semicircolare rappresenti simbolicamente un'enorme scacchiera: data la sua pianta, la Tour Magdala e la serra si collocano correttamente ai due angoli opposti di un ideale casellario, in corrispondenza dei due punti esatti in cui verrebbero a trovarsi le torri all'inizio di ogni partita.(3)


Il giardino sovrapposto alla scacchiera.

Si tratta di ipotesi e interpretazioni affascinanti, che mancano il punto per una sola ragione: si limitano, infatti, a fotografare la realtà così com'è, senza condurre ad ulteriori scoperte in linea con la teoria avanzata. Offrono, infatti, la possibilità di romanzare sulle suggestioni del simbolo identificato - facendo pensare ad un sacerdote costantemente in bilico tra le forze del bene e del male, vittima di una profonda nostalgia per il pensiero cataro e il suo dualismo mirabilmente espresso sulla scacchiera, o forse segretamente legato ad ambienti massonici, seppur pubblicamente lontano dal laicismo e dall'anticlericalesimo delle logge francesi dell'epoca - ma le stesse suggestioni sono poi storicamente sterili, non soltanto perché non trovano conferme documentali di alcun tipo, ma soprattutto perché non offrono spunti per ulteriori ritrovamenti (se nei giardini di Saunière in corrispondenza delle caselle angolari ci sono due torri, ci si dovrebbe aspettare "almeno" qualche altra sovrapposizione tra elementi architettonici e gli altri pezzi, ma dove sono?) né mostrano la predittività che ci si attenderebbe da teorie fondate e "funzionanti".

Ma fu proprio la fecondità del simbolo ad ispirare personaggi come Pierre Plantard nella costruzione della mitologia del Priorato di Sion.

Pierre Plantard e gli scacchi

Alcune caratteristiche topografiche dei territori intorno a Rennes-le-Château consentono una lettura in chiave scacchistica che Pierre Plantard propose in diversi dei documenti da lui compilati tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del XX secolo. Le due montagne del Blanchefort e del Rocho Negro, a poca distanza l'una dall'altra, prendono il nome proprio dai loro tipici colori, consentendo di elaborare l'immagine simbolica di due giganti - l'uno espressione della luce, l'altro delle tenebre.

Il riferimento storico cui si appellò Plantard fu il libro di Henri Boudet La Vraie Langue Celtique, in cui il sacerdote scriveva: "Sulla riva sinistra della Sals, il cromleck comincia alla roccia di Blancfort. La punta naturale di questa roccia fu spianata, nel medioevo, per permettere la costruzione di un fortino come punto di osservazione. Restano ancora alcune tracce in muratura che manifestano l'esistenza di questo fortino. Questa roccia bianca che colpisce gli occhi all'improvviso, è seguita da uno strato di rocce nerastre, che si estende fino a Roko Négro. Questa particolarità ha fatto dare a questa roccia bianca, posta sopra rocce nere, il nome di Blancfort - blank, bianco, - forth, in testa, sopra, avanti."(4)

Secondo la lettura "iniziatica" che Plantard propose nel 1978 nell'edizione Belfond del libro del sacerdote francese, nel descrivere le due montagne Boudet si riferiva in modo occulto all'acquasantiera della chiesa di Rennes-le-Château e al fonte battesimale; il tutto ruoterebbe intorno alla contrapposizione del bianco e del nero, celata nei seguenti elementi:

Sull'acquasantiera compare la scritta PAR CE SIGNE TU LE VAINCRAS. Poiché le lettere LE non dovrebbero comparire in una traduzione letterale della frase latina IN HOC SIGNO VINCES, tale anomalia avrebbe un chiaro riferimento ai Cavalieri Templari: le due lettere, infatti, si trovano alla 13ma e 14ma posizione all'interno della frase, componendo così il numero 1314 che è la data della scomparsa dell'Ordine Templare, il cui stendardo, il mitico Beaucéant, era suddiviso in due fasce, bianca e nera.

L'acquasantiera è sorretta da un demone inginocchiato, parzialmente inclinato rispetto all'asse della chiesa. Sulla parete nord della stessa, in corrispondenza del fonte battesimale, compare il complesso statuario di Giovanni Battista e Gesù; anche quest'ultimo si trova inginocchiato, e - come il diavolo - sembra osservare un punto al centro della pavimentazione a scacchi al fondo della chiesa. L'idea è che i due avversari si stiano sfidando in una simbolica partita a scacchi tra la luce e le tenebre, e il piano di gioco sia costituito da un'immaginaria scacchiera di 64 caselle ricavata sul pavimento della chiesa di S. Maddalena.

Il messaggio che Plantard intendeva veicolare è esplicito: La Vraie Langue Celtique è un libro a chiave, che va letto cercando nel testo i riferimenti alla chiesa di Rennes-le-Château. Ma poiché nello scenario ipotizzato da Plantard le decorazioni furono installate dalla coppia Saunière-Boudet, è vero anche il viceversa: la chiesa di Santa Maddalena è la versione architettonica del libro di Boudet, e i suoi elementi sono simbolicamente legati ad alcune caratteristiche topografiche della zona. Dunque la mano del diavolo sotto l'acquasantiera, chiusa a formare un cerchio, farebbe riferimento alla "Fonte del Cerchio", nei pressi di Rennes-les-Bains, eccetera.

L'esoterista francese lo esprimeva così: "Queste illustrazioni le troviamo nella chiesa di Rennes-le-Château. L'abate Henri Boudet ne è l'ideatore e l'architetto. […] L'autore della Vera Lingua Celtica aveva fatto posizionare in una nicchia nell'atrio della sua chiesa parrocchiale una croce su un pilastro di pietra riportante il motto di Costantino In hoc signo vinces la cui traduzione esatta è: Per questo segno vincerai. Di nuovo fa riprodurre l'iscrizione sull'acquasantiera sostenuta dal diavolo a Rennes-le-Château ma con una variante; questa volta vi si può leggere: Par ce signe tu le vaincras. Alle 20 lettere del motto si sono aggiunte 2 lettere per ottenere il numero 22 del tarocco, quello che contrassegna l'eclair, l'illuminato. Le lettere aggiunte sono la 13 e la 14, dunque 1314. Questa data è quella della scomparsa dell'Ordine del Tempio il cui stendardo Beau-Céan era nero e bianco. Ora, il diavolo fissa con i suoi occhi di vetro la scacchiera formata dal pavimento nero e bianco. Di nuovo l'abate Boudet dà un'illustrazione del suo libro, laddove insiste sul Bianco ed il Nero, nella citazione su Blanchefort "questa roccia bianca che colpisce gli occhi, tutt'intorno circondata da una base di rocce nerastre, che si esdendono fino a Roko Negro" (pag. 231), dal giorno alla notte. I due preti hanno firmato questo lavoro, perché a ridosso del diavolo, sostenuto da due basilischi (piccoli re) legati da un anello, si trova un medaglione rosso con le lettere in oro B.S., iniziali di Boudet-Saunière. Il lettore comprenderà che questa prefazione non potrebbe bastare per descrivere tutte le decorazioni della chiesa di Rennes-le-Château, che altro non è se non l'illustrazione del libro dell'abate Boudet e la rappresentazione simbolica dei luoghi di Rennes-les-Bains."(5)

Pierre Jarnac affermò che l'ipotesi della scacchiera al fondo della chiesa proposta da Plantard fosse anacronistica: il pavimento fatto installare da Saunière non sarebbe stato bianco e nero, ma tutto bianco; la scacchiera sarebbe stata installata solo dopo la morte del sacerdote, in un periodo imprecisato. Per provare questa affermazione, Jarnac pubblicò sul suo Histoire du trésor de Rennes-le-Château una fotografia fatta realizzare da Saunière per il suo set di cartoline, in cui il pavimento della chiesa sembrava effettivamente tutto bianco.(6)


La cartolina in cui il pavimento della chiesa appare completamente bianco.

La fotografia, in realtà, non è affatto l'elemento conclusivo su questa questione: il colore falsato è dovuto con ogni probabilità ad una sovraesposizione della fotografia, conseguente al buio del luogo in cui è stata scattata.(7)

Più forte è l'obiezione che fa notare che non esiste alcuna scacchiera di 64 caselle ben definita: a differenza di quanto riportato in alcune guide "tendenziose", la scacchiera ideale ipotizzata da Plantard va visualizzata senza l'aiuto di alcuna guida presente sul terreno, dal momento che le piastrelle si susseguono senza soluzione di continuità dall'ingresso laterale della chiesa fino al fonte battesimale, estendendosi ad est in una striscia attraverso i banchi della chiesa e terminando con una seconda fascia, parallela alla prima, che va dal pulpito alla statua di Sant'Antonio da Padova.


Il pavimento al fondo della chiesa nella fotografia pubblicata nel 1967 da Gérard de Sède. L’editor è stato costretto ad indicare la scacchiera con una linea tratteggiata perché non è indicata altrimenti.

E' comunque da segnalare la presenza di due "tagli" in diagonale che sembrano essere stati collocati per facilitare l'interpretazione suggerita da Plantard: disposti simmetricamente ai due lati del camminamento centrale, sembrano suggerire la presenza di un angolo da rispettare che ben si adatterebbe alla scacchiera ideale su cui si scontrano Gesù e il demone.


Particolare delle mattonelle al fondo della chiesa

Un documento venuto alla luce soltanto nel luglio 2006, pubblicato dal giornalista francese Jean-Luc Chaumeil, rivela un esplicito interesse da parte di Plantard per la simbologia degli scacchi; il documento è la trascrizione di una conferenza che l'esoterista tenne il 6 giugno 1964 presso l'Hôtel de la Tour di Noël Corbu. Il suo intervento si aprì proprio sull'immagine del demone che osservava la scacchiera sul pavimento della chiesa; a proposito degli scacchi, Plantard citò il celebre aneddoto secondo cui il gioco sarebbe nato in Oriente, e il suo inventore avrebbe chiesto come ricompensa un chicco di grano sulla prima casella, due sulla seconda, quattro sulla terza e così via, raddoppiando ogni volta la posta. E' controintuitivo, ma non esistono al mondo tanti chicchi di grano in grado di soddisfare una richiesta del genere!

Plantard aggiunse inoltre che nel XII secolo gli scacchi erano un simbolo regale, e che i duchi di Normandia prendevano le loro decisioni più importanti su un tavolo ricoperto da una tovaglia decorata con una scacchiera. Introducendo un motivo ripreso nella sua rivista Circuit, Plantard spiegò che le sessantaquattro caselle hanno ognuna un diverso significato simbolico e numerico, e possono essere associate ognuna ad un diverso esagramma dell'I-Ching.

De Chérisey e gli scacchi

Sarà il sodale di Plantard, Philippe De Chérisey, a riprendere altri elementi scacchistici e ad inserirli nella nascente mitologia del Priorato di Sion; tra questi non si può non citare la figura del Cavallo. In una delle due pergamene cifrate si parla di uno Cheval de Dieu: il riferimento è in parte circolare, dal momento che lo stesso procedimento di estrazione del messaggio cifrato segue - in uno dei suoi passi - il gioco del "salto del cavallo degli scacchi".

Il problema del "salto del cavallo degli scacchi", oggi di pertinenza della teoria dei grafi, era noto già nell'antichità, ma il primo a proporlo "ufficialmente" alla comunità dei matematici fu Brook Taylor (1685-1731) nei primi anni del Settecento. I primi a risolverlo furono Abraham de Moivre (1667-1754) e Pierre Rémond de Montmort (1678-1719), e il primo a formalizzarlo fu Leonhard Euler (1707-1783) nel 1759. Oggetto del problema era lo studio della possibilità, da parte del cavallo degli scacchi, di occupare successivamente tutte le caselle della scacchiera muovendolo con la tipica mossa "a elle" in esattamente 63 mosse, senza mai tornare su una casella già visitata.

La recente pubblicazione del manoscritto di Philippe De Chérisey, Pierre et Papier, ci consente di ricostruire con precisione il procedimento seguito per codificare le due pergamene diffuse per la prima volta da Gérard de Sède nel suo L'Or de Rennes nel 1967. Per realizzare la Grande Pergamena, De Chérisey trascrisse la prima metà del messaggio da codificare (complessivamente di 128 caratteri) su una scacchiera, disponendo le lettere una dopo l'altra lungo un tragitto che costituisce una soluzione del problema del "salto del cavallo". Giunto alla sessantaquattresima lettera, l'autore trascrisse la seconda metà del messaggio su una seconda scacchiera, seguendo un percorso verticalmente speculare rispetto al primo.


I due percorsi del “Salto del Cavallo degli Scacchi” utilizzati per cifrare la Grande Pergamena. I due sono verticalmente speculari.

In questo modo, l'unica possibilità di risalire al messaggio corretto sarebbe stata quella di identificare la sequenza utilizzata tra le milioni di soluzioni possibili. Trattandosi di un percorso ciclico, possiamo concludere che la soluzione fosse stata ispirata ai lavori di Eulero che fu il primo ad affrontare il problema della ciclicità dal punto di vista teorico.

Accostate in modo che la prima scacchiera così compilata si trovasse a sinistra della seconda, queste produssero un testo di 128 lettere che erano l'anagramma del messaggio originario: a questa nuova sequenza l'autore applicò due sostituzioni polialfabetiche, producendo una nuova stringa di 128 caratteri poi celata, a passi di 6 caratteri, in un testo evangelico più lungo.

La pergamena così concepita cela in sé una notevole (e sottilissima) ironia, dal momento che richiede al solutore di utilizzare il "salto del cavallo" per risolverla, e restituisce - a chi riesce a "violarla" - un messaggio che afferma che proprio "attraverso questo cavallo di Dio" si può sconfiggere il demone guardiano: se il demone è colui che fa la guardia al messaggio cifrato, nessun consiglio potrebbe essere più azzeccato (e tardivo, dal momento che si svela soltanto dopo che il solutore l'ha identificato per conto suo!).

E' lo stesso autore della pergamena a compiacersene nelle ultime pagine del suo manoscritto, dove ammette esplicitamente che lo "Cheval de Dieu è una sorta di strizzata d'occhio amichevole verso colui che ha usato il salto del cavallo per decodificare il messaggio."(8)

De Chérisey prosegue spiegando che nel XII sec. Goffredo di Buglione avrebbe fondato una vera e propria società di giocatori di scacchi presso le Scuderie di Re Salomone, e proprio dal salto del cavallo avrebbero preso spunto i Templari per disegnare la loro croce patente. Il tema ritornerà anche sulla rivista Circuit, ed è particolarmente bizzarro. Qui è illustrato il concetto:


Il numero massimo di mosse legali del cavallo degli scacchi è otto; collegando opportunamente tra loro le caselle raggiungibili dal cavallo si può ottenere una croce patente. Sul punto, De Chérisey è esplicito: "La croce patente dei Templari non è altro che un modo di interpretare il salto del cavallo. Molte altre croci sono nate sullo stesso modello: quella di Malta, dei Trinitari, ecc. Ma i Templari ci tenevano a manifestare la loro parentela con la scacchiera ed aggiunsero al centro della croce il simbolo del cavallo montato da due cavalieri."(9)

Va sottolineato, comunque, che - così com'è concepito - il problema della decodifica della Grande Pergamena è insolubile anche da un calcolatore: poiché i percorsi del salto del cavallo sulla scacchiera sono in numero enorme, anche una volta identificati i primi passi di decodifica polialfabetica, non esiste alcun computer in grado di identificare il percorso corretto in grado di estrarre dalla stringa di partenza il messaggio cifrato; ciò significa che per offrire la possibilità ad altri di decodificare il messaggio, l'autore sarebbe stato costretto a nascondere da qualche parte il percorso seguito, cui nessun decrittatore (umano e non) sarebbe mai potuto risalire.

Coerentemente con il fatto che fu De Chérisey ad elaborarlo per realizzare la Grande Pergamena, tale percorso è stato segnalato per la prima volta dall'attore francese nel 1971 sul suo romanzo Circuit, quattro anni dopo l'uscita del libro di Gérard de Sède. Se, come sostengono alcuni, De Chérisey non avesse davvero realizzato la codifica ma piuttosto decifrato l'opera realizzata da qualcuno che l'ha preceduto, significherebbe che insieme alla pergamena avrebbe trovato "qualcosa" in cui veniva rivelato il percorso corretto da seguire per decodificarla; in caso contrario, lui stesso non avrebbe mai potuto decifrarne il messaggio.

Le vicende narrate in Circuit sembrano suggerire il ritrovamento del percorso nel cimitero di Rennes-les-Bains: "Scava la terra sul lato sinistro della tomba, presso la vecchia pietra fiorita. Scopre una strana placca di rame ricoperta di verde e di grigio, con una griglia profondamente incisa. E' lei a fornire il percorso del salto del cavallo. Dopo un'accurata pulizia nel greto del fiume Sals che scorre lì vicino, Charlot li applica al testo delle due scacchiere prima citate, e così si può leggere: BERGERE PAS DE TENTATION..."(10)

La scena è ambientata presso il cimitero di Rennes-les-Bains, dove - secondo l'autore - la lapide di don Jean Vié (nato nel 1808, diventato sacerdote nel 1840 e morto nel 1872) fornirebbe l'indizio di utilizzare le scacchiere, dal momento che dalla nascita all'ordinazione ci sono 32 anni e dall'ordinazione alla morte altri 32: i primi sarebbero gli anni corrispondenti alle caselle bianche, gli altri quelli corrispondenti alle nere. Ad oggi, tale placca non è mai stata trovata, né si può sapere con certezza se sia mai esistita.


La tomba di Jean Vié a Rennes-les-Bains. Nato nel 1808, nominato sacerdote 32 anni dopo, morì 32 anni più tardi. Secondo il protagonista di Circuit la lapide sarebbe un indizio della necessità di usare una scacchiera per decifrare la pergamena.

In assenza di altri elementi, è lecito supporre che il messaggio sia stato nascosto dallo stesso che poi rivelò il metodo di decodifica.

Il manoscritto di De Chérisey Pierre et Papier conferma, inoltre, un altro sospetto: gli elementi correlati alla mitologia del Priorato di Sion mostrano sempre una doppia valenza, sia storica che geografica. Già la lettura del Serpent Rouge sembrava suggerire questa direzione di indagine: si è già visto, ad esempio, che il dualismo bianco/nero fa contemporaneamente riferimento ai Templari, il cui stendardo è di quei colori, e alle due cime del Blanchfort e del Roko Negro. Ciò vale anche per lo Cheval de Dieu. Sebbene De Chérisey spieghi in dettaglio i riferimenti al salto del cavallo per decifrare la Grande Pergamena, l'attore aggiunge che nei dintorni di Rennes-le-Château, esistono alcune formazioni rocciose che possono definirsi simbolicamente "Cavallo di Dio".

La prima si trova sul monte Serbaïrou, ed è costituita da una coppia di rocce che somigliano ad un cavallo accanto ad un altro più piccolo. La seconda si può trovare, secondo l'autore, seguendo la strada che da Couiza porta a Rennes: la descrizione del percorso è però molto laconica, e soltanto grazie ad alcuni studi sul terreno da parte di Mauro Vitali è stato possibile identificare il punto esatto cui faceva riferimento De Chérisey. La formazione rocciosa fronteggia la Tour Magdala costituendo una singolare opposizione simbolica tra due pezzi degli scacchi: la torre e il cavallo.


Vista dal camminamento circolare accanto alla Tour Magdala.

Pur essendo visibile dalla balconata panoramica di Rennes, la forma del cavallo è difficile da percepire perché da questa posizione la si osserva frontalmente e i particolari si confondono con le rocce circostanti. L'esatta collocazione dello Cheval de Dieu di pietra non è mai stata pubblicata in alcuna forma(11) e viene qui proposta per la prima volta. La formazione rocciosa si trova a nord-est di Soubirous, a metà strada tra il gruppo di case e la collina di Rennes-le-Château.


Lo Cheval de Dieu tra Soubirous e Rennes-le-Château. Come su una scacchiera, il cavallo fronteggia la Tour Magdala. Osservando il panorama dalla Tour, si trova a destra della grotta della Maddalena.

Identità e luogo

La scoperta della duplice valenza di ognuno degli elementi introdotti da Plantard può condurre ad uno stato di eccitazione interpretativa: se il "demone guardiano" è al tempo stesso la statua sotto l'acquasantiera e la località della Poltrona del Diavolo e se il cavallo degli scacchi è insieme la chiave per decifrare la pergamena e una formazione rocciosa, la tentazione di proseguire nelle identificazioni si fa forte… Facile identificare la Regina Bianca (Madre di Luigi il Santo e Sorgente nei pressi di Rennes-les-Bains), ma quella Nera chi è? E dove si trova? E che ne è di tutti gli altri pezzi? Dove (e chi) sono gli alfieri, i pedoni? Ma soprattutto, chi sono i due Re?

Esiste d'altronde un problema di più basso livello spesso ignorato: una volta identificato tale Scenario Definitivo, a quale mondo corrisponderà? A quello immaginato da Plantard? A quello in cui visse la sua vicenda storica Saunière? A quello nato nel 1967 dopo la pubblicaione de L'Or de Rennes? In altre parole, dov'è la scacchiera che stiamo studiando?

_________________

(1) Edgar Allan Poe, "Maelzel's Chess-Player" in Southern Literary Journal, aprile 1836.

(2) E' il caso, ad esempio, di Roberto Volterri e Alessandro Piana, L'universo magico di Rennes-Le-Château, Milano: SurgarCo, 2004, pp.81-84 nel capitolo dall'eloquente titolo "Tempio massonico?". C'è da apprezzare il punto interrogativo. Si veda anche Jean Markale, Montségur et l'énigme cathare, Pygmalion, 2002, p.104.

(3) JP Pourtal, "Les inversions dans l'Histoire de Rennes-Le-Château"

(4) Henri Boudet, La Vraie Langue Celtique, pp.230-231 nella traduzione italiana di Domenico Migliaccio.

(5) Pierre Plantard in Henri Boudet, La Vraie Langue Celtique, Ed. Pierre Belfond, collection "les Classiques de l'Occultisme", Paris: 1978 (1886) nella traduzione italiana di Domenico Migliaccio.

(6) Pierre Jarnac, Histoire du trésor de Rennes-le-Château, Cazilhac: Belisane, 1998, nota a p.160.

(7) Jean-Jacques Bedu, Rennes-Le-Château autopsie d'un mythe, Loubatières, 2002, pp.67-68.

(8) Philippe De Chérisey, Pierre et Papier ora in Jean-Luc Chaumeil, Le Testament du Prieuré de Sion, Villeneuve de la Raho: Pégase, 2006, p.92.

(9) Ibidem.

(10) Philippe De Chérisey, Circuit, pubblicazione privata, 1971, p.127. Se si conta anche la copertina, la pagina in cui viene rivelato il messaggio di 128 lettere è la 128ma!

(11) In Christian Doumergue, L'Affaire de Rennes-le-Château, t.II, Arqa éditions, 2006, p.170 viene pubblicata la fotografia di un cavallo di pietra esplicitamente chiamato "Cheval de Dieu" che si troverebbe "tra Rennes-le-Château e Rennes-les-Bains"; purtroppo per il lettore, non ne viene indicata l'esatta collocazione.

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Nostradamus a Rennes-les-Bains

Martedì 26 ottobre 2010 by Liz Greene

Traduzione a cura di Ivan Talloru delle pagine 56-60 (nell’edizione Corgi 1982) del romanzo di Liz Greene The Dreamer of the Vine (1980). Sorella di Richard Leigh e all’epoca fidanzata di Michael Baigent, in questo romanzo la Greene anticipò di due anni le rivelazioni sulla dinastia del Sang Real.

Sapevo, che prima o poi, sarei partito da Carcassonne. Stava cominciando ad essermi sempre più chiaro che avrei conseguito il dottorato, se avessi ricevuto un giusto trattamento da parte dei miei colleghi; tutto era nelle loro mani. Monsignor de Foix capiva molto bene le ambizioni che guidavano il mio spirito, e mi promise che non avrei lasciato Carcassonne senza una considerevole somma d’oro; ciò mi avrebbe aiutato a seguire la mia strada con maggior facilità. Poi, un giorno, mi fece una proposta curiosa.

«Tra pochi giorni», mi disse una sera, mentre eravamo seduti nel suo studio a sorseggiare del vino, «farò una gita a sud di Rennes-les-Bains per visitare un amico. E’ solo ad un giorno di mulo da qui. Volete accompagnarmi?».

Conoscendo il mio amico, uomo di grande sottigliezza e arguzia, accettai l’invito.


Alloggiammo con il cameriere e la servitù in un piccolo alberghetto a Rennes-les-Bains, dove le sorgenti naturali si diceva possedessero miracolosi poteri di guarigione. Mentre il vescovo si recava in visita da un uomo del villaggio, decisi di esplorare la campagna a dorso d’asino. L’atmosfera era tesa. Le montagne cingevano la valle, e su una di queste si stagliavano contro il cielo d’autunno le rovine fortificate di un’antica precettoria del Tempio, solitaria, minacciosa, ma allo stesso tempo magica.

Questa terra racchiudeva nel ventre molti strani ricordi. Memorie di Templari e Catari, il cui sangue fertilizzò il suolo; lo stesso suolo continuava a sanguinare, come una grande ferita aperta. Si poteva avvertire la presenza di fantasmi che ti sfioravano alle spalle anche in un freddo pomeriggio soleggiato. Mi sentivo a disagio, e decisi di tornare al villaggio con la mia cavalcatura.

Il vescovo si mostrò interessato alle mie impressioni sulla campagna. «Così», mi disse con fare divertito, mentre uno strano bagliore attraversava i suoi begli occhi scuri, «siete riuscito ad udire gli spiriti della morte. Ebbene sì! Questi luoghi ne sono pieni. Se volete, potete visitare Montségur, dove i Catari subirono l’ultimo fatale assedio prima del massacro. Si può sentire ancora l’odore acre del loro sangue, e le montagne stesse ne piangono la sorte. Avete una speciale sensibilità, tipica della vostra stirpe, Michel de Notredame! Spero che i vostri sogni non siano turbati stanotte». Cominciò tutto da qui. Mi rassicurai, pensando che non fosse possibile che quest’uomo conoscesse i miei futuri sogni. Stava semplicemente ironizzando sulle mie paure, tipicamente femminili. Monsignor de Foix stette per un po’ in silenzio, poi disse: «A mezzanotte scoccherà il 13 ottobre. Non vi dice niente questa data?». Scrollai la testa. Non ricordavo nessuna festività particolare associata ad alcun santo. «E’ il giorno in cui Filippo il Bello occupò le precettorie del Tempio, catturò i Templari, e li imprigionò, torturandoli e condannandoli al rogo per i crimini di sodomia, blasfemia e culto del Diavolo. Stranamente alcuni di questi cavalieri, per l’esattezza cinquecento, forti quanto l’intero esercito del Re di Francia, andarono spontaneamente incontro al sacrificio, come se già conoscessero e accettassero la triste sorte che li attendeva. Lo stesso fecero i Catari, che scesero dalla vetta di Montségur mano nella mano cantando, gettandosi poi tra le fiamme».

Le sue parole mi riempivano di disagio. C’era qualcosa di nascosto in quei luoghi. Qualcosa che non riesco a comprendere. Sentii un leggero brivido avvolgermi le membra. Cominciai ad augurarmi di non tornar più a Rennes-les-Bains.

Eravamo in piedi fuori dall’alberghetto a prendere una boccata d’aria dopo cena. Il sole, prossimo al tramonto, solcava il cielo con i suoi colori di sangue e di fumo; le vette montane si profilavano davanti ai miei occhi come antichi animali, avvolti in un caldo torpore, pronti a destarsi all’improvviso.

«Solo una precettoria fu risparmiata» disse il vescovo. «Guarda oltre quelle cime, verso sud-ovest, contro luce. La puoi vedere. Si chiama Bezu. Il comandante, era un uomo chiamato de Goth, della famiglia dei Blanchefort. Era cugino del Papa Clemente. Può questo vincolo di sangue aver salvato questi Templari dagli uomini del Re? O Bezu conteneva un tale segreto che neanche il Papa osò violare? Rimane un mistero».

Guardai all’orizzonte, e vidi gli spalti e le torri merlate. Gli detti solo un’occhiata quel giorno. Mi parve distrutto e frastagliato, come un grosso dente marcio sogghignante contro la profondità del cielo. Il tramonto portò con sé nuvole violacee, mentre una brezza gelida saliva dalle viscere della terra. Una nebbiolina, simile al vapore, avvolgeva l’ambiente intorno, il felceto ed i campi, velando i piedi della montagna in un drappo funereo. Desiderai ardentemente una compagnia umana, il calore amico del fuoco.

«Sto andando a scalare il Bezu», disse Monsignor Ammanien de Foix. «Conto di oltrepassarne le mura per mezzanotte».

Non dissi niente. Fissavo il suo vigoroso e carnoso volto dominare il mio disagio, che si stava trasformando in una rosicante paura.

«Chi scalerà l’antica fortezza, nell’anniversario della caduta del Tempio, avrà il privilegio di esser testimone di un miracolo», disse il vescovo. «I Templari della fortezza possedevano una piccola campana d’argento. In quei giorni terribili, in cui vedevano prossima la cattura, gettarono la campana in un crepaccio sotto le mura. La leggenda, narra che a mezzanotte, il giorno della caduta dell’Ordine, la campana ricomincerà a suonare, e le sue dolci note saranno accompagnate dal vento per le montagne. Se un uomo coraggioso e deciso, si reca sulla vetta ed attende l’ora, può vedere prendere forma i fantasmi dei Cavalieri, bianchi e luminosi, con una gran croce rossa sul petto. Potrà sentire una voce profonda dall’oltretomba piangere e domandare “Chi ricostituirà il Tempio?”, ed un coro di teste morte, parlanti, rispondere tre volte, all’unisono “Nessuno. Nessuno. Nessuno. Il Tempio è stato distrutto”».

Rimasi in attesa, mentre il sudore scorreva freddo sulla mia schiena. Sapevo cosa stava per dire.

Consideravo una fortuna il fatto di avere come mecenate Monsignor Ammanien de Foix, vescovo di Carcassonne, ma quando mi disse «Vorrei che mi accompagnaste», scossi il capo con veemenza.

«Non posso, Monsignore. Mi dispiace. Questi luoghi mi mettono a disagio. Sono intrisi di stranezze; si sentono sussurri di morte. Da queste parti c’è qualche segreto nascosto. Mi perdoni se sembro infantile, o preda di umori tipicamente femminili, ma non desidero ascoltare il suono della campana d’argento, e nemmeno vedere forme evanescenti di Cavalieri morti. Non ho alcun dubbio che continuino a camminare per la montagna, non c’è bisogno che insistiate per convincermi di questo».

«Non è per convincervi che ve lo sto chiedendo, Michel de Notredame. Voi avete una sensibilità tale da intuire molto più di ciò su cui riuscite a ragionare. Potreste incontrare lungo il cammino qualcosa di importante per voi».

«Tutto questo non ha alcun interesse per me», dissi con tono deciso. «Non ho niente a che vedere con il passato di questi luoghi. Sono solo uno studente di medicina, che cerca di trovare la propria strada. Vi prego di non insistere, ho paura da morire».

«Vi assicuro che non vi accadrà nulla di male».

Alla fine l’ebbe vinta lui. Forse per la sua cortese insistenza. Forse, perché non volevo apparire come un codardo. In quei giorni non ero una persona facile da convincere a fare qualcosa contro la sua volontà. E mentre stavo ancora cercando una scusa per evitare la spedizione, mi ritrovai sulla parete rocciosa della montagna di Bezu, arrampicato con le mani e le ginocchia. Di fronte a me, la sagoma nera del vescovo si muoveva leggera, come una capra di montagna,

un’ombra contro l’ombra del dirupo. Scalava rapido, nonostante la sua mole. Alla fine, le antiche mura ci cingevano attorno. In mezzo, le rovine solitarie della fortezza sventrata: un calice aperto verso il cielo. Ci sedemmo, e dividemmo il vino che aveva portato con sé. Sopra di noi, una scia di nuvole passarono separate dinanzi alla luna, come se il paradiso ci sorridesse con gli occhi.

Il freddo cominciava a farsi sentire. Mi avvolsi con un mantello, mentre i miei denti cominciarono a sbattere. Era molto tardi. Sentii il lieve tintinnio della campana della chiesa del villaggio sottostante suonare le undici. Il vescovo rimase in silenzio. Me lo immaginavo come il membro di un oscuro conclave fatto d’ombre, dietro le mura. Solo l’esangue cielo stellato illuminava il suo volto pallido. Gli occhi ricordavano opache pozzanghere nell’oscurità. Cominciavo a capire perché non desiderasse parlare. Come una litania, ripetei a me stesso che si trattava solamente di una passeggiata notturna, e che il vescovo era una persona estremamente eccentrica, con un certo gusto per le storie di fantasmi.

Mi sembrò di esserne rassicurato; ma alcuni brandelli di fantasie continuarono ad aggrapparsi ai miei sensi acuti e vigili, con dita fragili ma intense allo stesso tempo.

Mi ripetei che le campane d’argento, per quanto sacre, non avrebbero potuto suonare dal profondo della terra. Il vento si alzò, sferzante, con un sibilo acuto. Nel cielo, fuggenti nuvole eclissavano le stelle. Mi sentivo rapito, svuotato di qualunque emozione. Il giorno seguente, le emozioni le trovai nei palmi delle mani, completamente feriti, fino alla carne.

La brezza calò. Una volta ancora udii il rintocco della campana del villaggio, inghiottito nel silenzio della notte.

Monsignor de Foix mi fece segno di non parlare, mi prese per il gomito e mi aiutò a salire. Non saprò mai se quello che sentii era reale, o se fu soltanto frutto delle mie paure. Da qualche parte, così debole da sembrare il rumore del vento, si levò un suono scarno e fioco, una dolce nota impalpabile come il vento.

Non riuscivo a far niente. Mi gettai sulla fredda terra tra le mura cadute, e mi coprii le orecchie con le mani. Stavo tremando dalla paura.

Dopo un po’, sentii le mani del vescovo poggiarsi dolcemente su di me, mentre i suoi grandi occhi scuri mi fissavano con triste compassione. La quiete ci avvolgeva adesso, come in uno spesso bozzolo. Non potevo e non volevo sentire più nulla. Era solo un vecchio rudere in cima ad una montagna.

Non parlammo più, e in silenzio cominciammo la discesa. Si rivolse a me solo prima di ritirarsi in camera. Mi mise una mano sulla spalla, avvolgendomi con uno sguardo triste.

«Forse, ho sbagliato il momento. Era troppo presto».

Quell’esperienza mi colpì profondamente. Non dormii tutta notte, tormentato com’ero da un incubo. Mi trovavo in un grande bosco, dove antiche querce erano riunite come cospiratori, nascoste alla luce. Ebbi la sensazione immediata, come per istinto, di trovarmi in un luogo sacro. Un bosco sacro agli spiriti degli alberi, che mi pressavano, come fossi un intruso. Sopra i rami s’intravvedeva, come una miriade di mani intrecciate, la navata di un’oscura cattedrale di corteccia. M’inginocchiai al suolo, e chinai il capo in segno d’omaggio alla terra. Non sapevo di quale posto si trattasse.

Riconobbi un antico potere in quel luogo, un potere che non apparteneva al Dio dei Cristiani. Quando mi sollevai, vidi arrivare a cavallo il re senza nome, bardato di una tunica damascata striata di bianco, ed una corona d’oro sul capo. La folta chioma scivolava sulle spalle, divisa da una sottile scriminatura; un volto aspro, vuoto e pallido, faceva da contorno ad un paio d’occhi di un blu profondo, sotto una fronte finemente cesellata. Era assistito da cinque uomini armati, ed un aiutante lo aiutò a scendere da cavallo, accompagnandolo sotto un grande albero a riposare. Appoggiò la schiena contro il fusto grande e nodoso della quercia, ormai attorcigliato e ispessito dai secoli. Chiuse gli occhi stanchi, mentre l’aiutante portava il vino in grossi calici intagliati di cristallo di rocca, luccicanti di una pallida e lattea luminescenza, nell’oscurità verde. I soldati, stanchi anch’essi, si apprestarono a dormire.

Poi, mentre il Re era assopito, vidi il servo estrarre una lunga lancia, e avvicinarsi furtivamente al suo maestro. Sebbene desiderassi urlare, per avvisare del pericolo, come paralizzato non riuscii a muovermi, e nessun suono uscì dalle mie labbra. Con gesto fulmineo, la lancia si conficcò con forza nell’occhio destro del Re. Sangue rosso sprizzò come vino appena spillato sulla bianca tunica, sgorgando nel calice, e ribollendo nella terra nera. Una terribile collera prese gli antichi alberi, come se una tempesta si scatenasse tra loro, pronta a distruggerli. Alla fine scoppiai in lacrime, e mi svegliai, agitandomi nell’oscurità, non sapendo dove fossi. Ricordai il terrore che mi prese in cima alla montagna, e il suono evanescente della campana. Strisciai fuori dal letto, e accesa una candela, rimasi seduto in uno stato confusionale sino all’alba.

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