Guida storica all’enigma di Rennes-le-Château

I Celti e il cromleck di Rennes-les-Bains

Nonostante vengano spesso attribuite alle tribù celtiche, diverse pietre erette nei dintorni a Rennes-le-Château risalirebbero al Neolitico. E’ il caso del Peyre Dreito di Arques, unanimamente riconosciuto come un antichissimo menhir. Molto dubbia, invece, è l’attribuzione che il reverendo Boudet fa alle popolazioni celtiche di un gigantesco cromleck dal diametro di circa 17 chilometri intorno a Rennes-les-Bains: gran parte dei reperti da lui descritti nel vasto studio sul Cromleck di Rennes-les-Bains1 sarebbero in realtà curiosità geologiche naturali, verso cui – non è da escludere – i Celti potrebbero aver avuto uno specifico interesse. Sono diverse le voci che hanno mosso serie critiche verso il metodo storico utilizzato dal reverendo Boudet per “dimostrare” la presenza celtica nella sua regione.

Nel 1892 Emile Cartailhac (1845-1921), docente di Storia Antica all’Università di Tolosa e membro della Société d’Études Scientifiques de l’Aude, scrive in un articolo della Revue de Pyrénées:

[si deve] diffidare delle etimologie suggerite da un ardimentoso prete di paese, autore di un’opera inenarrabile sulla Vera Lingua Celtica2.

Gaston Jourdanne (1858-1905), anch’egli della Société d’Études Scientifiques de l’Aude, si allinea al collega nell’articolo dell’anno successivo intitolato "De quelques étymologies celtiques"3.

Nello stesso anno la Revue des travaux scientifiques, curata dal Comité des travaux historiques et scientifiques di Parigi segnala la scoperta di una notevole quantità di megaliti nell’Aude, che non sarebbero affatto "opera dei Druidi, la cui dottrina e i cui culti non erano mai penetrati in questa parte della Francia"4.

Secondo Henri Boudet erano di origine celtica anche molte delle croci greche incise sulle montagne circostanti. Sull’argomento scrisse Germain Sicard nel 1926:

Percorrendo la regione delle Haute Corbières, nelle vallate bagnate dai fiumi Sals, Agly e Verdouble, si possono notare sui pendii e incise su delle rocce numerose croci di tutte le forme, che non ci hanno ancora rivelato il perché della loro esistenza. […] Queste croci sono incise su dei blocchi di pietra sparsi nella boscaglia. Alcune sono composte semplicemente da due bracci che s’incontrano formando un angolo più o meno retto, mentre altre croci, più rare, hanno la forma di Croci di Malta o di croci greche. Ci si domanda quindi perché questi segni religiosi sono qui disposti in ordine sparso e incisi su dei semplici massi di pietra. Il mistero regna ancora su questo punto e non possiamo neppure apporre l’argomentazione in base alla quale questo emblema cristiano fu inciso sui menhìr e sulle pietre erette, santificandoli per distruggere le superstizioni pagane cui davano luogo. […] Il reverendo Boudet, curato di questa località, nella sua curiosa ed eteroclita opera pubblicata nel 1884 [sic] (Imprimerie Pomiès, di Carcassonne), ha segnalato queste croci dando loro un’interpretazione fantasiosa, come ha fatto, del resto, per tutti i supposti megaliti che ha creduto di vedere nei dintorni5

Sempre a proposito dei vari monumenti citati da Boudet, Sicard scrive:

Il dolmen più notevole fra tutti quelli citati nell’opera non è altro che il frutto bizzarro di una valanga di rocce che formano il promontorio sulla riva sinistra della Sals, di fronte alla Borde Neuve, al di sopra di rocce piene di fenditure contenenti le gallerie di antiche miniere. È così che a Caunes, nei pressi di N.D. du Cros, il signor Louis Béziat, nella sua storia dell’abbazia di Caunes, ha segnalato un dolmen che non è altro che un grosso blocco di roccia di forma rettangolare caduto dalla parete scoscesa della montagna.

L’autore si riferisce ad una delle due immagini pubblicate all’interno del testo del sacerdote:

Alcuni dei presunti monumenti celtici descritti da Henri Boudet. A sinistra, la pietra eretta di fronte alla Borde-Neuve cui fa riferimento Sicard. A destra rispettivamente 1 e 2 Roulers del Pla de la Coste, 3 menhìr abbattuto, 4 menhìr eretto

Pur criticando il testo di Boudet, Sicard auspica un’analisi archeologica più precisa dei reperti:

Gli altri dolmen segnalati sono ancora da vedere e da identificare e, malgrado le parole del venerabile autore de La Vera Lingua Celtica, tutti i dolmen non sono altro che sepolture di epoca neolitica o emolitica.

Come Boudet, d’altronde, sino alla fine del XIX sec. molti ritenevano erroneamente che i Celti erigessero i loro monumenti per celebrare i loro rituali ed eseguire sacrifici umani.

Destituita da ogni fondamento linguistico ed archeologico, l’opera di don Henri Boudet dev’essere letta in chiave simbolica; ma si tratta di un simbolismo che non ha nulla di esoterico, dal momento che il sacerdote cita apertamente il messaggio al nucleo del suo studio: egli ritiene (erroneamente, abbiamo visto) che i Celti abbiano costruito intorno a Rennes-les-Bains un gigantesco cromleck, che svolgeva le funzioni di uno dei più grandi templi a cielo aperto del mondo; pur non essendo ancora nato Cristo, i Celti sono stati dei precursori del Cristianesimo, praticando un’antichissima forma di monoteismo simboleggiato dalla figura del "cerchio".

Nel capitolo più importante del libro, non a caso intitolato "Significato religioso del cromleck, dei ménirs, dolmens e roulers", Boudet spiega:

I cerchi tracciati dalle pietre erette, avevano per i Celti un senso profondamente religioso. I Druidi, allo stesso modo dei filosofi antichi, vedevano la figura circolare come fosse la più perfetta: questa rappresentava per essi la perfezione Divina, immensa, infinita, non avendo né principio né fine. Zénone spiegava che Dio era sferico, cioè perfetto, e l’affermazione attribuita ad Empédocle, sostenente che Dio è una sfera intellettuale ed incomprensibile il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo, altro non significa che l’eccellenza e la perfezione infinita di Dio. […] Il simbolismo del cerchio non era quindi, come si può vedere, una particolarità dei Celti. Ma si può affermare che fosse loro familiare, così come testimoniano i cromlecks sparsi in tutte le contrade abitate dai nostri avi. Il centro del cromleck di Rennes-les-Bains si trova nel luogo denominato, dagli stessi Galli, le Cercle – chiamando Cerchio "to circle" (cerkl’), circondare, cingere, il punto centrale del cromleck dei Redoni, e racchiudendo così un cerchio più piccolo in uno più grande, i Druidi hanno voluto esprimere molto chiaramente l’idea che essi concepivano un Dio unico ed esistente dentro gli esseri. Manifestandosi Dio come l’Essere stesso per eccellenza, egli è anche in ogni cosa nella maniera più profonda, poiché è l’origine di tutto ciò che esiste. Il mondo creato è qui rappresentato dal cerchio piccolo chiuso in uno più grande, e il cerchio grande, con la sua figura sferica, offre allo spirito l’idea della perfezione essenziale di Dio, nel quale tutti gli esseri vivono e si muovono, che contiene tutte le cose ed in esse esiste, non già come una parte della loro essenza o come una fatalità, ma come un creatore è presente nell’essere sul quale opera, e che raggiunge attraverso la sua virtù6.

L’inquadramento della civiltà celtica all’interno della visione cristiana – per conseguire il quale sono ovviamente necessarie delle vistose forzature – è l’obiettivo principale di Henri Boudet; ciò è particolarmente evidente nelle pagine successive, quando cita l’opinione di Cesare secondo cui i Celti praticherebbero sacrifici umani. Secondo il sacerdote, Cesare avrebbe frainteso una "misteriosa dottrina dei Galli, che afferma che la vita di un uomo deve riscattare la vita dell’uomo per appagare pienamente la giustizia divina"7. In tale dottrina, infatti, si dovrebbe riconoscere in anticipo sui tempi la dottrina cristiana della salvezza, per cui dal sangue di un solo uomo – Cristo – deriverebbe la salvezza dell’intera umanità.

In tempi più moderni lo stesso fraintendimento che Boudet mostrò verso cultura celtica si ritrova in molti studi dedicati all’opera del sacerdote, anch’essa abbondantemente distorta nel momento in cui si è cercato un senso "esoterico" all’interno di una curiosa (e infondata) dissertazione sui Celti insediatisi nei pressi di Rennes-les-Bains quali precursori del cristianesimo, scritta con un chiaro intento educativo.

Sarebbe sbagliato, però, considerare la teoria di Henri Boudet senza collocarla nel suo contesto storico e culturale; lo studio di Charles Darwin (1809-1882) sull’evoluzione della specie non era stato pubblicato che nel 1859, ed era comunque stato accolto da grandi polemiche – in particolare in ambito ecclesiastico. Non c’è da stupirsi per il fatto che, da buon creazionista, un sacerdote considerasse i Celti il primo popolo stabilitosi nella Gallia dopo il diluvio universale.

Già nel 1829 François-René de Chateaubriand (1768-1848) citava le teorie del padre cappuccino Gregorio di Rostrenen secondo cui "il celtico è una di quelle lingue primitive che Gomer, figlio di Jafet, portò in Europa"8. Essendo Jafet figlio di Noè, Gregorio di Rostrenen farebbe risalire il Celtico direttamente ad un nipote del personaggio biblico che si salvò dal diluvio universale9.

La stessa teoria era stata utilizzata sin dal XVII sec. per legittimare la creazione di una Monarchia Universale – tema che ritornerà nel corso del XX sec. nelle anacronistiche pretese di Pierre Plantard. Claude Du Pré (1543?-1620), ad esempio, scriveva:

Gomer fu ben istruito da Noé nella religione e nella vera fede in Dio […] Dunque, si può dire con certezza che i Galli, discendendo da Gomer, il primo nato a questo mondo o il primo nato dopo il diluvio, si possano attribuire l’autorità di poter assoggettare tutte la parti del mondo […] e che il Re dei Galli è il vero monarca e che [egli] non [deve] riconoscere nessun superiore10.

Non aveva alcun fondamento, invece, l’ipotesi per cui i Celti fossero monoteisti; secondo il sacerdote il monoteismo era la tradizione religiosa celtica originaria, e venne sempre conservata dal gran consiglio dei Druidi, il Neimheidh, anche quando le tribù entrarono in contatto con i Greci, i Cartaginesi e i Romani e caddero nell’idolatria del politeismo. In realtà gli autori latini attestano l’esistenza di un vero e proprio pantheon di divinità celtiche, che però non acquistò mai dei confini netti: seppur riuniti in un’organizzazione nazionale, i Druidi non riuscirono mai a costituire una teocrazia unitaria di tutti i Celti. Una loro caratteristica era in effetti l’estrema frammentarietà, anche politica. Alla base della società celtica c’era una struttura tribale governata dall’aristocrazia guerriera: ciò rese impossibile il sorgere di uno stato unitario.

Il territorio di una tribù era piuttosto esteso e organizzato in diversi insediamenti, tuttavia solo uno di essi era scelto come centro difensivo: la sommità della collina di Rennes-le-Château si prestava ad ospitare un oppidum di questo tipo, e la buona posizione geografica ne fecero un luogo di una certa importanza.

1. Henri Boudet, La Vraie Langue Celtique et le Cromleck de Rennes-les-Bains, Imprimerie Pomies, Carcassonne 1886.
2. Emile Cartailhac, Revue de Pyrénées, Tomo IV, 1892, pp. 167 e segg. cit. in Pierre Jarnac, Histoire du Trésor de Rennes-le-Château, Bélisane, Nizza 1985, p. 285.
3. Gaston Jourdanne, "De quelques étymologies celtiques" in Bullettin de la Société d’Études scientifiques de l’Aude, Tomo IV, 1893.
4. Revue des travaux scientifiques, p. 842.
5. Germain Sicard, “Note sur Les Croix rupestres des Corbières” in Bullettin de la Société d’Études scientifiques de l’Aude, Tomo XXXII, Anno 38, pp. 370-3, 1926 cit. in Alessandro Lorenzoni, "Le croci incise sulle montagne di Rennes-les-Bains" in Indagini su Rennes-le-Château 5 (2006), p. 253.
6. Boudet 1886, pp. 245-247.
7. Boudet 1886, p. 253.
8. François-René de Chateaubriand, Mémoires d’Outre-Tombe, Tomo I, Edmond Biré, 1829.
9. Il grandissimo numero di studiosi che sosteneva questa tesi è elencato nell’ottimo studio di Alessandro Lorenzoni "Quando il serpente parlava italiano…" in Indagini su Rennes-le-Château 4 (2006), pp. 177-190.
10. Claude Du Pré, Abbrégé fidelle de la vraye origine et généalogie des François: auquel est traicté de la généalogie et hauts faicts des anciens François, ensemble de leurs ducs et roys jusques à Clovis Ier, Lyon: Impr. de Thibaud Ancelin, 1601, cap. II.

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23. Il testamento "da leggere"

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25. I restauri più urgenti e le due ispezioni

26. La nascita di Saunière e la visita di De la Bouillerie

27. Il "Secondo Impero" e la visita di Monsignor Leuillieux

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29. L’ispezione del Vicario Generale

30. L’arrivo di Saunière a Rennes-le-Château (1885)

31. Le elezioni legislative e l’esilio a Narbonne (1885-1886)

32. Il dono della contessa di Chambord (1886)

33. La ripavimentazione (1887)

34. La sostituzione delle vetrate (1887)

35. Il nuovo altare e il bassorilievo della Maddalena (1887)

36. Il primo ritrovamento (1887)

37. La Dalle des Chevaliers e il secondo altare (1887)

38. Il gruzzolo sotto l’altare della Vergine (1887)

39. Gli ultimi lavori prima della visita vescovile (1887)

40. La visita di monsignor Billard (1889)

41. La vecchia zia e la famiglia Dénarnaud (1889)

42. Il servizio ad Antugnac (1890)

43. Lo stratagemma degli scavi (1891)

44. La Madonna di Lourdes (1891)

45. Il pellegrinaggio a Puivert (1891)

46. La scoperta del sepolcro (1891)

47. Il secret di Saunière e il secret di Cros

48. La morte di Boulanger e i primi lavori nel cimitero (1891)

49. Il nuovo pulpito (1891)

50. Il bassorilievo all’ingresso della chiesa (1891)

51. La grotta di Lourdes (1891-1892)

52. Gli screzi con Alexandrine Marre Dénarnaud (1892)

53. I viaggi e le lettere prefirmate (1892)

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55. Il confessionale e la leggenda di Ignace Paris (1893)

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58. I lavori nel cimitero (1895)

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